NotaBene – Massimo Folador – 28/04/2023
Ricordo bene un piccolo fatto che mi accadde anni fa, appena dopo l’uscita del mio primo libro “L’organizzazione perfetta”. Un aneddoto che allora mi era sembrato insignificante e che invece, da lì in poi, avrebbe contribuito a dare una svolta alla mia vita professionale. E non solo.
Eravamo in un birrificio di Como, al rientro da un incontro di formazione interaziendale svoltosi all’Abbazia di Piona. Con me due colleghi: una sociologa di grande cultura ed esperienza e un giovane psicoterapeuta già molto bravo. A un certo punto fu lei, forse con l’intuito e la sagacia tipicamente femminili, a chiedermi perché fino ad allora, visti i temi di cui avevo scritto, non mi ero ancora occupato di “etica e impresa”. O di “Business Ethics”, per gli amanti degli anglicismi. Cascai dalle nuvole ma, con la solita curiosità che mi contraddistingue, cominciai a riempirla di domande, finché, a fine cena, non mi ero già convinto che questa “storia” del bene comune in azienda avrebbe dovuto far parte dei miei approfondimenti.
Da allora in poi ne è passata di acqua sotto i ponti: un centro di studi in LIUC, libri, convegni, tante attività ma, ancora oggi a distanza di tempo, la sfida di un “bene comune” che diventi perno della strategia di un’azienda resta la più difficile e quella che più mi appassiona. Difficile, perché anche solo trovare un punto di incontro positivo tra le mille istanze che governano l’attività di un’azienda non è cosa poco; sfidante, perché oggi resta l’unica strategia possibile, in un mondo caratterizzato da complessità, scarsità di risorse, e in cui tutti noi abbiamo la netta sensazione di non riuscire più a venire a capo da soli di così tante sfide. Come persone e come imprese.
Sono tante le vie per poter prima capire e poi costruire un bene comune in azienda e far sì che, come la storia insegna, possa produrre risultati economici sostenibili, ma l’esperienza mi dice che tra tutte una è la più plausibile e, soprattutto, realizzabile: scegliere una relazione, tra le tante che contraddistinguono la capacità dell’azienda di generare valore, e focalizzarsi su di essa, cercando di trovare in quella situazione precipua gli elementi che la connotano e i punti d’incontro che la possano far divenire risorsa e non conflitto. Penso alla relazione fra i portatori di interesse con tutte le sfaccettature che determina, oppure alla gestione interna alla proprietà dell’annoso problema del ricambio generazionale, o ancora alla relazione con l’ambiente e le sue conseguenze, drammatiche o positive che siano. Ognuna di queste relazioni, così come mille altre che potremmo definire “minori” ma altrettanto importanti, meriterebbe un’analisi accurata nel tentativo di comprendere le legittime esigenze delle parti, le loro aspettative e come queste possano essere prima contemplate, poi valutate e insieme risolte in un’ottica di reciproca soddisfazione. Questa è in fondo la “vera” sostenibilità e per questo la parola “etica” con la sua definizione originaria di “comportamento abituale teso al bene comune” ha in sé una dimensione di sfida, come sempre ha avuto nella storia e avrà.
In questo numero della nostra newsletter trovate un piccolo approfondimento sulla questione, o meglio, il racconto di un’esperienza che si inserisce in una progettualità più ampia, tesa ad affrontare un bene comune oggi finalmente vissuto come determinante per tutti: l’incontro tra le generazioni o, volendo usare una fraseologia oggi di moda, il rapporto tra boomers e millennials. Una serie di analisi e ricerche oramai ci dicono chiaramente l’importanza e la vastità delle implicazioni ma sarà ancora più sfidante e interessante trovare nuove modalità e risposte. In fondo il bene comune è proprio questo: un “problema” che diventa prima confronto, ricerca delle soluzioni e poi cammino. Per questo motivo è così arduo ma, per lo stesso motivo, oggi è una scelta che tante aziende cominciano a compiere con serietà e fermezza.