NotaBene – Massimo Folador – 30/06/2023
Quale etica?
La passione per l’etimologia porta a scoprire tanti elementi nascosti dentro alla genesi delle parole e al loro significato, ben sapendo che proprio le parole hanno contribuito nei secoli alla creazione del pensiero e, di conseguenza, alla cultura di un popolo e al suo destino. Tra queste parole, il termine “etica” risulta essere tra i più “usati e abusati” e, forse, tra quelli che chiunque di noi ritiene di aver ben capito. In realtà i suoi significati rendono “complessa” e nel contempo arricchiscono la comprensione della sua funzione cardine, nel lavoro così come nella vita personale.
Tra gli spunti di questo mese, mi piace ripercorrere, seppur velocemente, la sua storia, tanto più in questo numero del Diario di Askesis in cui parliamo anche della recente uscita di un libro significativo sul tema, “Manuale dell’etica efficace”, scritto da Vincenzo Linarello, che tanto ha da dire sul tema.
L’“etica” porta con sè un significato emblematico, già a partire dall’antichità, che riporta al concetto di ambiente e che, così facendo, si collega al tema attualissimo dell’etica come sistema di principi che stanno a monte della salvaguardia del creato. In una parola, della tanto sospirata “sostenibilità”. Il termine ethos infatti indicava anche un ambiente buono, dove vivere bene.
Ma è Aristotele, autore di un testo fondamentale – “L’etica Nicomachea” – il primo a parlarne in modo approfondito e a imprimere a questo termine una svolta fondamentale. Con il filosofo di Stagira difatti il termine “etica” viene accostato al concetto di “bene comune” e, meglio ancora, all’idea di “comportamento teso al bene comune”. Non un’azione isolata e fragile, quanto invece un comportamento abituale e continuativo. Un concetto che ritroviamo secoli dopo nella lingua latina, con mos, moris: costume, abitudine positiva, da cui la parola “morale”.
Dunque, a detta dei primi filosofi greci, è possibile reputare “etica” una persona, una realtà, solo quando siamo di fronte alla capacità di produrre stabilmente e nel tempo un impatto positivo sulle persone e il contesto attraverso comportamenti abitualmente positivi. Detto in altre parole, l’etica non è un’intenzione ma è il risultato finale frutto della capacità di tendere concretamente al bene comune, anche nei momenti di difficoltà, e di fronte a quelli che vengono definiti “dilemmi etici”, ovvero momenti in cui siamo di fronte alla volontà di fare il bene ma corriamo il rischio di scegliere, per necessità, il suo contrario.
Lo sguardo e il pensiero sull’etica viaggiano e mutano nel corso dei secoli. Se il suo significato ha attraversato la storia senza subire grossi mutamenti, è stato molto diverso l’approccio che le varie epoche storiche che si sono susseguite hanno avuto nei suoi riguardi.
L’etica aristotelica difatti parte da una visione “positiva” dell’uomo e per questo motivo viene anche definita “l’etica delle virtù”. Il presupposto di fondo è che l’uomo ha in sé il bene, vive naturalmente dentro un’ottica virtuosa e il suo obiettivo naturale e quello delle comunità dentro cui vive è quello di favorire questa propensione e far sì che il “bene comune” diventi una prospettiva di vita stabile. E’ il pensiero che ha attraversato tutta l’antichità, specie in Europa, e che la cultura cristiana ha ereditato e portato ad una definizione ed un significato ancora maggiori, influenzando tanta parte della nostra cultura.
Diverso, a cavallo tra il 1500 e il 1600, l’approccio della cosiddetta “Etica Contrattuale”. Il contesto politico, economico e sociale è diametralmente cambiato e dopo il grande sviluppo del Rinascimento, L’Europa per quasi cent’anni vive il dramma delle guerre di religione e si fa strada un pensiero opposto che vede in Hobbes il suo primo esponente. La natura dell’uomo è naturalmente egoista e tende alla sopraffazione per una naturale sua predisposizione alla sopravvivenza anche a scapito degli altri. Il bene comune resta l’obiettivo verso cui tendere, come persone e come società, ma l’etica deve essere guidata dalle norme e dalle sanzioni. Al comportamento “morale”, insito in una persona che è ispirato naturalmente al bene comune, segue un comportamento “dovuto alle norme e alle sanzioni”, che toglie all’uomo una parte del suo libero arbitrio ma regola la vita comune in maniera chiara e comprensibile.
In azienda, nella società civile, anche oggi siamo alle prese con queste due naturali tendenze che probabilmente vedrebbero in una loro coesistenza armonica il risultato ideale, quello a cui può tendere una comunità o un’organizzazione per ottenere quei risultati positivi insiti nel bene comune quando diventa processo e obiettivo insieme. Un approccio di tipo normativo e regolato da sanzioni può contribuire ad un allineamento sostanziale dei comportamenti delle persone ma il “vero” bene, così potremmo chiamarlo, è anche o soprattutto, frutto del contributo fattivo e continuativo che solo una persona orientata realmente all’etica può dare. Era la sfida dei secoli scorsi e resta la sfida più importante anche oggi. A noi, ad ognuno di noi spetta la libertà e la responsabilità di decidere da che parte stare.