Pensieri e Parole. I consigli di lettura di Askesis
“AO. Adriano Olivetti, un italiano del Novecento” di Paolo Bricco
Adriano Olivetti, più della società Olivetti, è un mito italiano del secolo scorso, che irraggia la sua forza ancora oggi e per i prossimi anni. Un precursore, un ispiratore delle politiche industriali, economiche, culturali di molti di noi che si occupano di impresa e di società.
Per questo motivo, è meritoria la biografia “AO. Adriano Olivetti, un italiano del Novecento”, elaborata dallo studioso e inviato de Il Sole 24 Ore Paolo Bricco, che ha scritto di lui anche in passato. Bricco racconta la storia umana e imprenditoriale di Olivetti, senza fare sconti alle naturali ambiguità, incertezze e incongruenze del suo lavoro, che ha attraversato 40 anni cruciali dello sviluppo italiano e internazionale, mettendo in luce la visione, la capacità proiettiva, la profondità intellettuale che l’attività economica dell’azienda è capace di infondere alla società.
È rimasto famoso il discorso che Adriano tenne nel 1955 all’inaugurazione della fabbrica di Pozzuoli: “La fabbrica di Ivrea, pur agendo in un mezzo economico e accettandone le regole, ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all’elevazione materiale, culturale, sociale del luogo ove fu chiamata ad operare (…). La nostra società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede infine che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto”. Ripensando a queste parole viene alla mente il pensiero di Jacques Maritain, che scrisse infatti alcuni saggi per la rivista olivettiana Comunità.
Ma al di là di questi riferimenti (Adriano fu vicino, in anni precedenti, anche al socialismo liberale gobettiano e azionista), è importante sottolineare la visione di un umanesimo che contribuisce a plasmare la comunità, dell’impresa come motore di profitto e di crescita sociale, che interagisce con i portatori di interesse nella costruzione di un bene comune. E per farlo l’impresa deve affiancare alla qualità dell’interazione con il mercato (ricerca, prodotto, vendita) in tutto il mondo, con una sorta di approccio glocale, la riflessione sui propri valori, l’attenzione alla vita dei propri collaboratori, l’amore per la cultura e il bello. Da questa certezza discende quanto ha caratterizzato la storia industriale della Olivetti negli anni di Adriano: collaborazione con i maggiori designer e architetti, grande sforzo nella comunicazione e nella rete commerciale espansa in tutto il mondo, innovazione organizzativa, formazione continua, diremmo oggi, su hard e soft skill, ricerca tecnologica (sull’elettronica, per esempio, che rappresenta un unicum italiano del secondo dopoguerrra). Negli anni ’50 la società Olivetti mette a disposizione dei lavoratori servizi sociali gratuiti: dall’asilo nido alle colonie, alle cure dentistiche, a un lungo congedo per maternità, pagati in tutto o in parte dall’azienda.
Quello di Olivetti è dunque un mito vivissimo, perché capace di generare futuro. «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?».