Intervista a Giampiero Grimoldi
“Lasciare un posto migliore di come l’hai trovato”.
Intervista a Giampiero Grimoldi, Amministratore di Rugby Parabiago
Giampiero Grimoldi, insieme a Cristiano Bienati, è Amministratore di Rugby Parabiago, storico club sportivo di rugby a 15 di Serie A, con oltre 75 anni di vita.
Oltre alla prima squadra maschile, Rugby Parabiago è attivo in tutte le categorie di età e con una squadra femminile, ha creato il festival musicale Rugby Sound e l’attività Rugby Parabiago Cares Impresa Sociale, che persegue finalità̀ educative e di solidarietà̀.
Giampiero vuole raccontarci come Rugby Parabiago è diventato un punto di riferimento del territorio?
Fin dal 2016 Cristiano Bienati ed io abbiamo iniziato a lavorare per sviluppare iniziative a supporto delle attività sul campo da gioco. Iniziative che già allora erano in linea con il concetto di sostenibilità, come ci ha confermato Massimo Folador di Askesis, che abbiamo contattato nel 2019.
Siamo stati in grado, quindi, di “mettere a terra” la sostenibilità utilizzando il nostro metodo di lavoro, cioè unendo il progetto sportivo, al centro, la relazione con gli stakeholder e il conto economico per investire nei progetti. Abbiamo quindi iniziato a vivere la gestione dello sport in maniera nuova, non appoggiandoci solamente alle aziende sponsor o vendendo esclusivamente spazi pubblicitari. Abbiamo cercato invece di portare valore a tutti gli stakeholder, dalle famiglie ai ragazzi al Comune, e avvicinare i partner, coinvolgendoli nei nostri progetti.
Questo approccio ci ha permesso di consolidare i rapporti storici con alcuni brand, che sono con noi dal 2016. Abbiamo lavorato in maniera differente dagli altri, incentrando le nostre azioni intorno al “patto educativo” con tutti i portatori d’interesse. Così ci siamo posti come il terzo polo educativo per i ragazzi, con la famiglia e la scuola.
Oggi siamo alla fine dell’arco temporale indicato nel primo Report di Sostenibilità (2020-2024). Abbiamo riletto con Massimo Folador gli obiettivi indicati dal Report e abbiamo appurato che siamo stati in grado di compierli tutti. Ora dobbiamo pensare a quelli nuovi. Il Club è cresciuto a livello di numeri, a livello tecnico, a livello di progetti. Oggi un po’ tutti stanno seguendo questo nuovo modo di vedere lo sport.
Gli altri Club stanno quindi seguendo il vostro percorso?
Le associazioni sportive, non solo nel rugby, si stanno muovendo in questa direzione. D’altronde è un momento in cui i brand vogliono spendere il proprio budget per le sponsorizzazioni in maniera oculata e strutturata.
Noi tocchiamo un territorio più vasto di prima: tutto l’Alto Milanese, fino a Pero e Castellanza. Non lavoriamo quindi solo per il nostro campanile e collaboriamo anche con i territori limitrofi. Abbiamo creato anche una rete di Club: se cresciamo noi, crescono anche gli altri; se crescono gli altri, cresciamo noi. Per questo la Federazione ci ha premiato affidandoci il polo formativo federale.
Abbiamo fatto tavoli di lavoro con altri Club, sulla parte formativa degli allenatori, perché è importante avere tecnici in campo che sappiano educare. I tecnici sono il bagaglio più importante di un Club. Con il progetto “Club in Rete” lavoriamo per un livello rugbistico più alto e questo è un beneficio per tutto il nostro sport. Con questo progetto ci si scambia anche idee, progetti e percorsi; noi stessi siamo andati a vedere quello che fanno gli altri, confrontandoci con altre realtà anche internazionali.
Dal Report di Sostenibilità e dalle tue parole si capisce bene che vi confrontate con una rete di stakeholder molto ampia e anche diversificata: gli Atleti, gli Allenatori, i Tifosi, i Volontari, i Genitori, ma anche i Fornitori, gli Sponsor, le Associazioni del terzo settore, le Scuole, i Media, le Istituzioni.
Essendo un ex uomo di campo, un ex giocatore, mi piace portare il bagaglio della mia esperienza, che significa partire dal “fare”. Il fare è sempre presente nel nostro pensiero strategico: abbiamo 150 collaboratori diretti e circa altri 100 volontari (che sono formati adeguatamente). Il risultato tangibile di quello che abbiamo fatto oggi è nato così: da un’economia generata internamente, che ha supportato l’attività sportiva corrente.
Oggi stiamo vivendo un momento analogo a quello del 2016, quando avevamo un alto profilo sportivo e un basso profilo manageriale, che abbiamo allineato. Abbiamo un buon livello organizzativo e un eccellente livello sportivo: il gap quindi deve essere di nuovo colmato, con la consueta attenzione alla sostenibilità economica. Torniamo quindi al “fare” e puntiamo sempre al miglioramento continuo.
Molte attività del terzo settore e dell’associazionismo, come il vostro, hanno forse qualcosa da insegnare al mondo dell’impresa privata, in termini di motivazione, capacità di fare, innovazione, coinvolgimento.
Tutti coloro che collaborano con il Club danno il 101%. Siamo un’azienda no profit che mette tanta passione in tutto quello che fa. Su 150 persone che lavorano con noi sono pochissime quelle che si limitano a fare lo stretto necessario, tutti gli altri sono mossi da una grande motivazione. Io stesso ho avuto modo di trasformare una passione in un lavoro ed è la convinzione di perseguire una strada pregevole che anima ogni nostro comportamento.
Fate educazione, promozione del rugby, comunicazione, ma anche attività sociale sul territorio.
Durante la pausa dovuta al Covid abbiamo ragionato su come sviluppare le attività sociali, che già facevamo con il brand Rugby Parabiago e abbiamo dato vita a Rugby Parabiago Cares Impresa Sociale: progetti con ragazzi con disabilità, educativi e per il territorio. Abbiamo deciso di sganciare le attività sociali, creando una realtà separata che non fosse il Club sportivo. Questa realtà lavora come Rugby Parabiago: invece di avere la “palla”, ha come core le attività sociali.
L’impresa sociale ha creato progetti con ragazzi con disabilità, facendo rete nel territorio con cooperative sociali del territorio e ha continuato a sostenere partner come Avis, Comitato Maria Letizia Verga, Dinamo Camp, LILT e tanti altri. Oggi i nostri progetti hanno reso sostenibile economicamente l’impresa sociale e hanno dato contenuto e valore a quello che facevamo già prima. Abbiamo quasi 60 ragazzi che fanno attività sportiva “adattata” nel progetto “Rugby Oltre”, che viene supportato da “I Bambini delle Fate” di Franco Antonello, che finanzia per missione solo progetti continuativi.
Quando incontro un imprenditore che vuol fare un progetto con noi, gli chiedo sempre quanto vuole investire e su quello costruiamo il progetto insieme. Un aneddoto: abbiamo un rapporto con una banca del territorio che per anni non ha mai potuto sponsorizzare il Club perché indirizzava i propri sforzi solo su progetti sociali. Al di là del mio pensiero che ritiene già lo sport un’attività intrinsecamente sociale, quando gli ho presentato la nostra Impresa Sociale abbiamo iniziato a collaborare e continuiamo a farlo.
Alcune parole che secondo te definiscono la sostenibilità oggi.
Visione. Avere una visione strategica “imprenditoriale” ti porta a definire quali siano gli obiettivi futuri, a migliorare nel tempo e a “lasciare un posto migliore di come l’hai trovato”.
Senso di appartenenza. È la convinzione di essere parte di una cosa più grande di te ed è la motivazione che spinge ad agire.
Riconoscenza. Credo sia un aspetto fondamentale di un rapporto relazionale. Bisogna essere sempre riconoscenti per ciò che gli stakeholder ti possono riservare, sia esso poco o tanto.