Intervista a Marco Arcuri

“Andiamo verso un mondo che ha bisogno di competenze ibride all’interno di una cultura che coniughi visione strategica, visione sostenibile, innovazione, project management.”
Marco Arcuri si occupa di consulenza strategica e formazione sui temi del project management e dell’innovation management. Presidente di ASSOPM – Associazione Italiana Project Manager. È titolare e Direttore della AMPM Business School che organizza Master di Alta formazione professionale per Project ed Innovation Manager, è docente presso diverse Università e collabora attivamente con Askesis sul fronte del project management applicato alla sostenibilità.
Quale è la funzione di un’associazione dedicata al project management come ASSOPM?
È l’associazione italiana di project management nata due anni fa, con l’obiettivo di diventare un punto di riferimento nel contesto nazionale su questa professione. Il focus sulla persona e la professione è una scelta di campo rispetto a chi fa riferimento soprattutto alla disciplina, perché a noi interessa mettere al centro la persona, con le sue abilità e le sue competenze comportamentali, relazionali ed etiche. Abbiamo fatto la scelta di volerci confrontare e fare rete con qualunque soggetto (associazione, istituto, organismo di certificazione, azienda) che abbia interesse ad affrontare queste tematiche, un po’ in antitesi rispetto ad altre associazioni.
Il secondo elemento che caratterizza e ci distingue è la totale gratuità: tutte le iniziative di aggiornamento professionale sono gratuite. Questa scelta ci ha portato in due anni ad arrivare a circa 600 soci.
Come si svolge il tuo lavoro di project manager, nei progetti che stai portando avanti con Askesis?
Una parte significativa del mio lavoro è quella di consulente e formatore. Mi occupo di project management e di gestione dell’innovazione. Tipicamente i miei clienti sono PMI o soggetti della Pubblica Amministrazione. Il mio approccio, impostazione che condivido anche con Askesis, è molto personalizzato: permette di cucire su misura intorno al cliente, in base alla sua esigenza, il tipo di attività di consulenza o formazione da erogare.
L’altro elemento caratterizzante dei progetti svolti con Askesis è di mettere al centro non solo la disciplina ma anche tutti gli aspetti legati alle persone. Io mi integro quindi con gli altri consulenti o formatori per affrontare i temi dei comportamenti, della comunicazione, aspetti vincenti anche nell’ambito della gestione dei progetti. Un esempio è il lavoro svolto per Sacbo, la società che gestisce l’aeroporto di Bergamo-Orio al Serio, nel quale io mi sono occupato della formazione di project management e Massimo Folador quella della comunicazione, in un unico ampio progetto per l’azienda. L’anno scorso invece abbiamo lavorato con Eurospin, importante soggetto della grande distribuzione. Una parte significativa del progetto era legata all’apertura di nuove filiali, con un taglio pragmatico e legato alle persone. Oltre la formazione in aula c’era anche una sinergia fuori dall’aula per migliorare le interazioni tra le persone. Io stesso ho inoltre formato e portato a certificazione molti collaboratori di Askesis, in uno scambio reciproco.
Nei progetti citati, qual era il target di riferimento?
Normalmente la formazione è stata rivolta al middle management, quindi un livello manageriale di persone che coordinano a loro volta altre persone Ci sono stati anche membri più operativi o manageriali, ma il middle management è la collocazione naturale. Ma abbiamo tutti molto bisogno di sviluppare la cultura legata alla gestione dei progetti, alla gestione del team e alla comunicazione. In questo caso il messaggio è naturalmente diretto al management apicale, per aiutarlo a sviluppare la parte di cultura organizzativa che è un contributo importante al miglioramento delle performance aziendali.
Perché è importante il project management in una società complessa come quella di oggi?
In questi ultimi anni si è passati da un approccio al project management più strutturato, più ingegneristico quasi, a un approccio che consente di gestire dinamiche più complesse, variabili e instabili di quelle di una volta. È necessario quindi avere un approccio da servant leader, che si mette a disposizione dell’esigenza del cliente, capendo le specificità del contesto, dando degli strumenti più semplici ed elastici, ma comprensibili e utilizzabili da subito. Questo accelera la trasformazione del progetto in valore da parte del cliente.
Questo cambiamento è legato a un cambiamento di cultura organizzativa e riferito molto alle persone. Occorre quindi lavorare non solo sui processi ma anche mettere al centro le persone. Oggi il project management è uno strumento che consente di accelerare questo cambio di paradigma, individuare gli obiettivi che generano valore e gestire le trasformazioni, come quelle legate alla sostenibilità. Quest’ultima è un insieme di tanti progetti, che devono essere gestiti con una visione strategica, ma anche con la capacità di portare a casa i risultati previsti. Il project manager aiuta a fare questo: fa cultura e garantisce efficacia.
Cosa serve perché la sostenibilità faccia sempre più parte delle scelte strategiche delle imprese italiane?
Occorre secondo me lavorare maggiormente sulla cultura organizzativa, perché la sostenibilità, soprattutto nelle PMI, è ancora intesa come una risposta a una cogenza (da parte di un cliente o all’interno di una catena del valore) come 20 anni fa la qualità, quando era necessario mettere a punto i processi per arrivare a certificazione. Sostenibilità significa invece cambiare la pelle di un’organizzazione, lavorando su diverse dimensioni: c’è un tema di governance, di priorità e di obiettivi strategici, di realizzabilità dei progetti, di innovazione. Il modo migliore per ottenere i desiderati obiettivi di sostenibilità è trovare modalità innovative per farlo, ottimizzando le risorse a disposizione.
Andiamo verso un mondo che ha bisogno di competenze ibride all’interno di una cultura ibrida che coniughi la visione strategica, la visione sostenibile, l’innovazione, il project management. Questo vale anche per le PMI, che sono naturalmente proiettate verso un approccio tecnico, che oggi non è più sufficiente, perché sono richieste competenze manageriali di tipo trasversale ed integrate tra loro.
Quali sono le leve per la crescita della sostenibilità e della responsabilità sociale nell’impresa italiana?
Io metterei al centro le reti, le sinergie, la comunicazione interna ed esterna. Occorre anche capire che la sostenibilità non è un costo, non è un fardello, ma una leva competitiva: verso questo obiettivo vanno concentrati gli sforzi e le energie. Da imprenditore, io stesso devo puntare sugli strumenti che mi permettono di crescere, tra i quali c’è la sostenibilità.