Il Comitato Maria Letizia Verga e la concretezza di un sogno (Avvenire – 4 gennaio 2019)
«Non è semplice raccontare una vita che cambia improvvisamente e che diventa un’altra vita». Inizia così il racconto di Giovanni Verga mentre saluta le mille persone che lo fermano in ospedale. Come tanti che vivono il bene senza quasi rendersene conto, anche lui è un fiume in piena di progetti ed energia, estremamente realista rispetto alle difficoltà da affrontare, ma altrettanto propositivo sul futuro. Giovanni è il presidente del Comitato Maria Letizia Verga, una delle associazioni più importanti tra quelle che sostengono la sanità pubblica italiana; una realtà che ha dato vita, anche grazie ad una raccolta fondi incessante, ad una serie di attività uniche in Italia, riconosciute anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante la sua visita a Monza. «Sono nato in una famiglia di commercianti e nel 1969 ho dato vita alla mia prima impresa. In quel periodo tutto sembrava procedere per il meglio, nel lavoro così come nella vita privata con la nascita nel 1977 di mia figlia Letizia alla quale però venne presto diagnosticata una forma di leucemia che la portò ad una morte precoce nel 1979. La mia seconda vita è nata allora perché decisi che avrei dedicato tutte le mie forze a guarire bambini colpiti da quella malattia. Ebbi la fortuna di incontrare il dottor Masera e ci buttammo anima e corpo nella “nuova” impresa. In quegli anni non esistevano ancora cure appropriate, i genitori non potevano vivere accanto ai figli in ospedale, mancavano figure professionali di supporto ma noi eravamo animati da un grande sogno: “guarire un bambino in più” e questo bastava a sostenerci». Chi mi conosce sa quanto sono affascinato dall’etimologia delle parole ma oggi è ancora più appropriato farne uso perché il termine sogno rimanda alla parola desiderio, dal latino “de-sidera”, ciò che conduce verso le stelle, verso quel bene che anima i propositi e le azioni più autentiche. «È quello che è successo a noi – riprende Giovanni – perché questo sogno ha coinvolto da subito tanti genitori che si sono resi conto di come solo assieme potevamo dare delle risposte concrete ad una situazione così drammatica. Grazie alla costituzione nel 1980 del Comitato Maria Letizia Verga e ad una raccolta fondi che da allora non ha più cessato di crescere siamo passati dall’acquisto della prima fotocopiatrice, all’inserimento di psicologi nei reparti, alla costruzione di mini appartamenti a favore delle famiglie. Il Comitato ci ha permesso inoltre di creare una relazione virtuosa tra medici, genitori e territorio e, soprattutto, di supportare quotidianamente i bambini e le famiglie perché nella malattia emergono la fragilità e l’impotenza, si perdono l’orgoglio, la speranza, i giorni si accavallano senza senso e ci si accontenta di vivere». Mentre camminiamo per i corridoi dell’Ospedale mi colpisce la sua capacità di salutare tutti con una parola e un incoraggiamento diversi e mi rendo conto di come sia sempre questa capacità di accogliere l’altro e la sua sofferenza all’origine di ogni cura. Giovanni però ha voglia di raccontarmi il prosieguo del loro sogno e lo ascolto molto volentieri: l’umanità fa bene a chi la dona ma anche a chi la riceve. «Dopo varie esperienze, nel 2000 prende finalmente avvio a Monza il progetto di una realtà interamente dedicata a questa malattia e ai bambini. L’ospedale San Gerardo sembra a tutti la scelta migliore perché è un’eccellenza nel mondo, ospita l’Università di Milano e la Regione nel frattempo ha dato vita ad una serie di normative adatte a gestire un ospedale pubblico/privato. Nasce così la Fondazione MBBM che oggi gestisce una realtà con 180 posti letto, circa 380 collaboratori tra medici e personale infermieristico e un Centro di Ricerca nel quale lavorano 200 persone tra ricercatori, medici e volontari. Oggi il sogno di allora si è trasformato in uno più grande, “guarire tutti i bambini”, e questo sarà possibile se proseguiremo a condividere questa visione e a collaborare alla sua realizzazione». Forse sono le sue parole o lo sguardo dell’ultimo bambino che incontriamo a commuovermi e ribadirmi che alcuni manager o imprenditori dovrebbero vivere questo luogo e lavorarci per capire come fare a generare opere che sfidano il tempo stesso.
Massimo Folador
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