Intervista a Paolo Massobrio
Giornalista enogastronomico e fondatore di Golosaria e dell’Associazione Club di Papillon
Paolo Massobrio è un noto giornalista enogastronomico e fondatore di Golosaria, dell’Associazione Club di Papillon e della casa editrice Comunica Srl Società Benefit. Da oltre 30 anni con la sua attività promuove cultura, gusto e “colleganza”.
Le attività imprenditoriali e di comunicazione cui ha dato vita sono caratterizzate da una grande sensibilità per il bene comune, oltre che per una rigorosa competenza di settore. Come nasce questa convinzione?
Nasce dal fatto che la nostra storia, fin dall’inizio è stata frutto di relazioni che abbiamo coltivato e che ci hanno dato molto di più di quanto immaginavamo. Se pensiamo che tutto nasce da un treno d’epoca con 300 persone festanti, radunate per onorare un grande uomo e produttore di vino, Giacomo Bologna, rivedo nella generosità di quella persona il Dna di tutto ciò che è nato: ossia favorire la relazione fra operatori di una filiera, quella del gusto e mostrare ai territori come si può fare sistema. Noi abbiamo fatto questo, prima nel Monferrato, dove siamo nati e poi in tutta Italia anche attraverso le nostre pubblicazioni che sono diventate leader.
Con le sue iniziative è riuscito a coniugare la passione per la creatività e la qualità presente nei territori italiani con una visione di un loro sviluppo sociale ed economico. Che significato ha dato in concreto a questa visione?
Se penso al Monferrato, per parlare di un territorio di prossimità, tutto questo ha voluto dire favorire l’arrivo di nuovi investitori che sono entrati con rispetto e hanno accelerato quel processo di innovazione necessario in un mondo come quello del vino. E’ stata una contaminazione salvifica per molti, abituati agli stessi gesti da secoli, ma poco proiettati a studiare il mercato. Con Golosaria, abbiamo fatto girare persone sui territori che si sono innamorate.
La sua attività è da sempre orientata al bene comune. Perché ha ritenuto importante anche la trasformazione in Società Benefit?
Perché di fatto lo eravamo, come dice lei, ma soprattutto perché questo passaggio ha creato un’autocoscienza fra i nostri stessi dipendenti e poi coi fornitori. Anche qui una piccola comunità di filiera che prende coscienza di ciò che porta e di dove vuole andare.
La manifestazione “Golosaria” (la prossima edizione si terrà a Milano dal 4 al 6 novembre) è anche un luogo di incontro tra stakeholder. Come è nata questa esigenza di relazione e che effetti benefici può apportare alla comunità, intesa in senso ampio?
Golosaria nasce il giorno in cui alla presentazione della mia guida ai ristoranti si presentano talmente tanti operatori che non ci stiamo più. In quegli anni di fine secolo scoprii che quando presentavo la guida i produttori di cose buone ma anche di vino venivano volentieri per incontrare i ristoratori e questo incontro produceva una qualità nuova, proprio nell’offerta complessiva, anche della ristorazione. Nel 2000 abbiamo deciso di coinvolgere il nostro terzo partner che era il lettore dei nostri libri e abbiamo realizzato a Stupinigi il prototipo di quello che negli anni è cresciuto col nome di Golosaria, mutuando il nome dal mio libro ammiraglio “Il Golosario”. Gli effetti oggi sono sotto gli occhi di tutti, perché Golosaria mette in mostra opportunità di distinzione a partire dai piccoli artigiani italiani. La nostra presenza a Milano, in 18 anni, ha sconvolto le carte dei vini nei ristoranti che erano tutte uguali, invogliando alla ricerca e quindi ad essere portatori di distinzione. Una protagonista di Golosaria, nel 2019 ci scrisse una lettera bellissima per descrivere ciò che aveva provato e ci parlò della Colleganza: Golosaria era l’alleanza fra colleghi. Il prossimo novembre saranno 300 i produttori e molti di loro debuttano per la prima volta dando carne al titolo che abbiamo scelto: La Tradizione è Innovazione.
A suo parere, quali passi occorre compiere per stimolare il mondo imprenditoriale italiano a rafforzare una comunità del bene comune? Nuove leggi, nuove iniziative, maggiore cultura d’impresa, maggiore formazione o altro?
Io sono abbastanza scettico sulle iniziative calate dall’alto, perché il mondo imprenditoriale non si sente bisognoso di alcun stimolo, solitamente. Il metodo è invece sempre quello della relazione, come avviene talvolta con Askesis quando radunate gli imprenditori che hanno realizzato una Società Benefit. Ecco forse bisognerebbe incentivare questo, che ha dentro i germi di quella che si chiama formazione e cultura di impresa. Paradossalmente, ma neanche tanto, ci vorrebbe una legge che finanzia proprio la nascita di momenti come questi, sistematici, perché risponde alla legge della sussidiarietà.