L’azienda come sistema familiare allargato Elmec e i suoi cinquant’anni di storia (Avvenire – 29 marzo 2019)
Negli incontri di formazione, quando è necessario risolvere alcune dinamiche che riguardano i comportamenti della persona e dei team, spesso si è “costretti” a ricorrere al buon senso e ad una delle massime forse più conosciute del Codice Civile: il buon zelo del padre di famiglia. Un’esortazione che già il monachesimo e San Benedetto avevano molto chiara, scegliendo proprio la parola “Abbas” (“padre” in aramaico) per dare un nome al “responsabile” dell’abazia. Quasi a volerne sintetizzare le qualità fondamentali. Così ho deciso di parlare di questo tema con Cesare Corti, 81 anni e fondatore con Clemente Ballerio di Elmec Spa: una realtà importante nel mondo dell’informatica e delle infrastrutture di rete, oggi presente con i suoi 700 dipendenti in Italia e all’estero e in continua crescita. «Abbiamo fondato questa società nel 1971 – mi racconta – proprio in un momento in cui l’informatica muoveva i primi passi e come tutti in quegli anni ci siamo buttati a capofitto nella nuova avventura. I tempi erano diversi, sicuramente ci hanno aiutato le nostre competenze ma soprattutto un modo di intendere la vita e il lavoro al quale siamo rimasti fedeli e che crediamo sia alla base, ieri come oggi, dello sviluppo dell’azienda».
Lascio che sia lui a proseguire nel racconto perché non servono domande quando è la vita a parlare ma mi sorprende vedere come sia possibile dopo tanti anni di lavoro mantenere intatti la passione e il desiderio di guardare avanti e oltre. Un’esperienza che spesso accomuna chi ha saputo creare imprese “belle” e farsi guidare dalle scelte tipiche di queste imprese. «Avevamo chiaro che noi avremmo potuto fare solo una parte del lavoro che avevamo in mente e che il resto lo avrebbero fatto con noi i nostri collaboratori. Quindi dovevamo imparare a lavorare assieme con cura e far sì che ognuno si sentisse parte di un progetto, di una famiglia. Guidare le persone, curare la loro crescita doveva essere un lavoro nel lavoro perché eravamo e siamo certi che le persone danno il meglio se vivono bene in un contesto che le accoglie. Nei limiti del possibile, proprio come in una famiglia, era importante per noi conoscere le loro peculiarità, venire incontro alle loro esigenze, far crescere professionalità e gusto per il lavoro perché la curva della “fatica” cresce con le responsabilità ma può diminuire grazie alla passione. Creare queste condizioni significava essere già a metà dell’opera». Nell’ascoltarlo resto colpito da alcuni episodi in cui questa attenzione è stata usata proprio come farebbe un buon padre di famiglia con i suoi figli. Storie che a distanza di anni riempiono di emozione ancora i suoi occhi e le sue parole: «L’impresa è un sistema complesso e ha bisogno di tanti elementi per funzionare bene ma nel raggiungimento di questo equilibrio sono certo che hanno avuto un ruolo importante alcune scelte naturali che hanno agevolato questo ambiente familiare: penso ai riconoscimenti che abbiamo accordato nei momenti di bisogno di alcune famiglie, o il ricordo della festa annuale con tutti in oratorio, oppure la gioia di festeggiare assieme le nascite dei figli. Può sembrare strano per chi guarda l’impresa da fuori e si fa fuorviare da alcuni stereotipi ma forse questa idea di un “sistema famigliare allargato” mi sembra quella che più si adatta alla nostra storia. Ed è quello che abbiamo provato a trasmettere ai nostri figli che oggi guidano l’azienda e che proseguono a costruire ogni giorno valori come la cordialità, l’accoglienza e l’apertura all’altro, la capacità di dialogare e di decidere assieme. Per 50 anni con il mio socio ci siamo detti che litigare è da stupidi e che forse è meglio cercare un punto d’incontro rispettandosi piuttosto che perdere energia e tempo a confliggere. Dopo tanti anni di lavoro sembra una considerazione da poco eppure è stato uno dei nostri segreti. Forse il più grande». Prima di salutarci Cesare mi parla di un’ultima iniziativa dell’azienda, che sarà dedicata al territorio e ad un restauro importante. Nulla a che vedere con l’informatica o le reti, semmai con una passione nata negli ultimi anni, eppure nel suo racconto leggo in filigrana le stessa voglia di fare bene il bene.
Massimo Folador
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